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Autore: Luca Sciortino
Storia di una parola
“Caravanserraglio”: nel suo senso traslato vuol dire “gran confusione”; ma eccole nella foto le origini di questa parola. Lì, in Iran, nel bazar di Kashan, sotto quella volta che farebbe invidia a una cattedrale, è proprio dove le carovane lungo la Via della Seta si scomponevano in cammelli, finimenti, viveri e mercanzie per poi ricomporsi ancora e riprendere, tra le urla e il trambusto, la via verso l’Oriente.
Quando per la prima volta mi sono trovato di fronte a questa meraviglia, regnava la quiete. Un uomo ha alzato gli occhi, mi ha guardato e ha ripreso il suo lavoro; delle stalle, dei dormitori e delle botteghe non c’era più traccia. Resta questo capolavoro, il pozzo di luce lì in alto, sempre uguale nei secoli, e la parola stessa “caravanserraglio”. Forse ogni tanto qualcuno la riscopre, l’analizza e vi ritrova due parole dell’antico persiano: “karvan”, da cui il nostro “carovana”, nel suo antico significato, un gruppo di mercanti, viaggiatori o pellegrini, e “saray” che vuol dire “palazzo”.
Difesa dell’animismo
Sugli scogli di Byblos c’è un castello crociato che nel dodicesimo secolo è stato oggetto di cruente battaglie tra crociati e musulmani. Quei pochi che scendono più giù lungo il sentiero, vedono questo albero solitario che si staglia in un mare di colore turchese. E si fermano, toccati dalla scena.
Abbiamo imparato da Cartesio, dai pensatori cristiani e da Kant che quello che è al di fuori di noi è privo di anima. Tutto ciò ha condotto alla distruzione di alberi, animali, fiumi, laghi e foreste. Li abbiamo usati come strumenti e attribuito loro un valore esclusivamente economico.
Di contro, la maggior parte delle culture diverse dalla nostra hanno creduto che l’anima non è solo dentro di noi ma anche fuori di noi. Per un indiano d’America o un antico egizio, un albero aveva un’eco dentro noi stessi che trascendeva la sua pura natura materiale. Dobbiamo restituire l’anima alle cose.
Beirut in bilico sulla storia, reportage
Testo completo e tutte le foto
http://www.panorama.it/news/esteri/beirut-in-bilico-sulla-storia-il-reportage/#gallery-0=slide-1
La piccola libreria di Adib
La piccola libreria di Adib è un barlume di luce che ammicca nel buio della miseria umana. Sorge nel cuore di Beirut tra mura ferite dalle pallottole, pattuglie di soldati armati e strade abitate da disperati. Adib ha messo in vendita sugli scaffali alcune centinaia di libri in lingua inglese nuovi fiammanti. Ha dedicato uno scaffale alla filosofia, quattro alla letteratura e tre alla poesia. Mentre parlavamo di Tomasi di Lampedusa, mi ha fatto toccare fiero la carta di un’edizione inglese del Gattopardo. In arabo il nome “Adib” vuol dire “studioso”. Nonostante la laurea in psicologia, Adib ha preferito vendere libri in inglese: “La città ne aveva bisogno” mi ha detto sorridendo. Sono in pochi a cogliere quell’occasione di felicità ma la libreria resiste, aperta ormai da due anni. Adib e i suoi libri stanno lì in quell’inferno a ricordarci quanto di mirabile c’è nell’uomo, nonostante tutto